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Le piccole imprese sono il cuore vivo del Lazio e il riflesso più autentico della nostra cultura. Ci raccontano storie di radici solide e visioni uniche, di resilienza e creatività, che si intrecciano con il tessuto della nostra storia e guardano al futuro. È proprio da qui che vogliamo partire nel nostro viaggio alla scoperta delle realtà locali da valorizzare: dagli artigiani e dalle botteghe che raccontano l’anima del nostro territorio. E non c’è posto migliore di Monti come prima tappa del nostro percorso, un rione che amiamo profondamente perché costituito da un microcosmo unico e quasi nascosto nel cuore di Roma, dove il passato si intreccia al presente in un dialogo continuo di storie e identità. Monti ha un fascino disordinato e un po’ bohemien, una bellezza fatta di contrasti tra le mura scrostate degli edifici antichi e l’energia che anima le sue vie.
È qui che incontriamo lo Studio d’Arte di Fabrizio Di Nardo, in via degli Zingari al numero 39. Entrare nella galleria di Fabrizio è come varcare la soglia di un salotto d’arte. Lo spazio è intimo, quasi confidenziale, e racconta molto dell’artista. Fabrizio ci accoglie con un sorriso e ci accompagna, insieme al curatore Giuseppe Ussani d’Escobar, in un viaggio nella storia della galleria e nell’arte.
Fabrizio Di Nardo è un artista materico. Anzi, si definisce “purista della materia”, perché usa gli acrilici, la sabbia e la resina su legno per stimolare una percezione tattile e sensoriale autentica ma anche come linguaggio per esprimere i concetti profondi della sua ricerca individuale. Con opere esposte in luoghi prestigiosi come la Biennale di Venezia, il Museo Fondazione Roma e il Mu.Ma di Genova, la sua arte si caratterizza per la profondità e il legame indissolubile con la natura e il cosmo. Ma ciò che rende il suo lavoro speciale è l’approccio accogliente e riflessivo che rispecchia la sua personalità. Di Nardo non è un artista che impone la sua figura. Al contrario, si sottrae all’egocentrismo che troppo spesso accompagna il mondo dell’arte. Un esempio è la scelta di firmare le sue opere sul retro, quasi a voler lasciare che sia la sua arte a raccontarsi. Un gesto che racchiude in sé una filosofia di vita: l’artista è solo un tramite, un medium attraverso cui il messaggio arriva al pubblico.
La galleria stessa è un’opera d’arte. Le mura medievali poggiano su strutture di epoca romana, antiche di 2000 anni. Stanze che si susseguono in un gioco di ambienti stratificati, che basta guardarli per percepirne l’impatto storico. Sicuramente l’ambiente che più affascina è l’antica cisterna romana, al piano inferiore, dove il tempo sembra sospeso. Qui Fabrizio ci invita a fermarci, a sederci per qualche minuto sul divanetto e percepire la memoria dell’acqua, perché, ci dice, “qui c’è stata acqua per secoli, avverti subito che entriamo in un’altra dimensione”. Ed è vero, è come un’eco che arriva da lontano.
Fabrizio Di Nardo si prende il tempo per raccontarci le storie e i concetti che si celano dietro le sue opere, ci invita a toccarle e a rompere il confine tra lo spettatore e l’opera d’arte.
Come trova l’ispirazione per le sue opere?
«Mi trovo nel compimento dell’opera da circa vent’anni”. Ci spiega meglio questo concetto, a noi profane di pensiero artistico e filosofico: “Ogni creativo arriva a un bivio nella propria carriera: continuare ad essere semplicemente un creativo, o decidere di diventare un creatore. Il creativo si lascia guidare dall’ispirazione del momento, la sua creatività è episodica, non c’è un percorso di ricerca interiore e metodica. Diventare un creatore, invece, ti dà accesso al compimento delle opere e all’eternità dell’opera, ma implica una forma di vocazione. Le opere diventano parte di un percorso di evoluzione e di compimento che si dispiega nel tempo. Allora l’ispirazione diventa un evento relativo, nel senso che l’arte entra nel gesto e il gesto è già un’opera d’arte. È nel fare che il creatore realizza l’opera, in ogni scelta, in ogni atto che compie. Una continua ricerca individuale verso qualcosa di ideale e perfetto.
Platone, dalla sua celebre caverna di ombre e percezioni, ci insegnava che l’universo ha avuto origine da una sfera, una forma perfetta, ed è questo pensiero che segna l’inizio del mio viaggio creativo, a ritroso dal Big Ben a oggi.
Nelle mie opere, i Gorilla rappresentano il nostro “zero antropico”: siamo Noi il momento prima di ricevere il dono del libero arbitrio e della conoscenza del bene e il male, la libertà di creare sia la meraviglia che l’orrore. Nel nostro omocentrismo, rischiamo di non vedere che, pur seguendo una via evolutiva diversa, i gorilla potrebbero avere una loro forma di consapevolezza, che in alcuni aspetti li rende forse più avanzati di noi».
Quali tecniche utilizza per realizzare le sue opere?
«Mi definisco un artista materico, questo significa che le mie opere sono pensate per essere toccate” afferma Fabrizio Di Nardo. “Per creare i Gorilla ho utilizzato tela e sabbia, mentre nell’opera Sfera l’effetto è dato dalla resina. La materia e il gesto sono strettamente legati, creano una connessione diretta tra l’opera e chi la osserva».
È così che nasce anche Total resina, realizzata con colori acrilici e resina. È un’opera legata alle immagini straordinarie che il telescopio James Webb della NASA, in orbita da 2022, ci sta restituendo di galassie vicinissime al Big Bang e sorprendentemente alcune di queste richiamano visivamente alcune opere da lui realizzate anni prima. «Questa opera, in particolare, è una corrispondenza visiva con una galassia osservata due anni dopo la creazione della mia opera».
Esposto nella suggestiva cisterna romana, «l’Angelo Sporco rappresenta una sorta di angelo sceso sulla terra per compiere una missione e tornare alla luce con un salto quantico». C’è sempre della filosofia esistenzialista e spirituale nell’arte di Di Nardo.
È il momento di conoscere meglio il prof. Giuseppe Ussani d’Escobar, un narratore straordinario che ci affascina con i suoi excursus nel mondo e nei significati dell’arte. Curatore delle esposizioni di Fabrizio Di Nardo, con cui collabora da tre anni, è proprio l’artista a definirlo «un esperto che dialoga con le opere». Non si limita a presentarle, ma le “comunica”, le racconta nelle loro dimensioni simboliche e metafisiche, rivelando aspetti che vanno al di là della semplice osservazione e stimolando una riflessione più profonda.
Ci spieghi meglio, chi è il curatore di una mostra?
«Il curatore ha la responsabilità fondamentale di entrare in empatia con le opere d’arte e con l’artista. È essenziale stabilire una connessione autentica, non solo con l’opera, ma anche con chi l’ha creata. La grande arte, in fondo, è un dialogo, una comunicazione tra l’artista, l’opera e il pubblico. È un accordo di note, un’intesa che deve vibrare all’unisono. Si danza e ci si muove allo stesso ritmo, in una ricerca comune di significato».
È un rapporto che si crea immediatamente, o ci vuole del tempo per costruirlo?
«Penso che l’istinto giochi un ruolo cruciale. Sono dell’idea che nella vita, in tutte le sue relazioni— professionali, amicali o artistiche — sia fondamentale affidarsi al fiuto. Quando ho incontrato Fabrizio, sono venuto a trovarlo, mi sono seduto giù, nella famosa cisterna romana, abbiamo dialogato, mi sono piaciute le sue opere e abbiamo accettato di fare questo percorso insieme».
Cosa fa concretamente il curatore delle mostre? Come si svolge il suo lavoro?
«Praticamente quello che faccio è scrivere, realizzare mostre, creare eventi che possano valorizzare l’arte. Nel caso di Fabrizio, pianifichiamo mostre e eventi, anche nel suo studio, che diventa un luogo di condivisione e apertura. La generosità Fabrizio nel dare spazio ad altri artisti è significativa, perché non tutti sono disposti ad accogliere nel loro spazio creativo, c’è sempre, in modo consapevole o meno, una sorta di competizione. L’accoglienza invece è fondamentale, perché significa valorizzare sé stessi. L’arte vive nel dialogo e nella multidisciplinarietà, dove musica, narrativa e altre forme artistiche si intrecciano e si arricchiscono a vicenda. In questo incontro nasce una sinergia che porta a nuove e affascinanti espressioni artistiche».
Come descriverebbe la visione artistica di Fabrizio Di Nardo?
«La visione artistica di Fabrizio Di Nardo è profondamente legata alla spiritualità della natura e del cosmo, ispirata dai boschi di Leonessa, sua terra d’origine. Le sue opere evocano foreste primordiali che si innalzano verso l’alto, alla ricerca di un contatto più profondo con l’universo. In un contesto urbano come Roma, dove il cielo è spesso frammentato dalle strutture e dalle abitudini quotidiane, Fabrizio rappresenta la sua continua ricerca del cosmo attraverso immagini di natura e di esseri che si innalzano verso l’alto».
Quali altri artisti sono esposti nelle sale espositive della galleria?
«In questa prima sala troviamo in evidenza Tabula Rasa di Luisa Valeriani, un’opera concettuale bellissima, presente alla Roma Art Week, che fa riferimento al bisogno di riappropriarci delle nostre radici classiche. Suggerisce un ritorno alle origini, un ripartire da zero, concetto che ben si collega alla Fenice di Fabrizio, che simboleggia la rinascita attraverso la distruzione: bruciamo per risorgere con forza rinnovata. Forse abbiamo davvero bisogno di tornare indietro, riflettere sulla nostra identità narrativa, sia individuale che collettiva, e riscoprire quei valori che, nel passato, hanno reso l’uomo capace di conquistare il mondo e diffondere civiltà. Oggi, sembra che l’uomo sia diventato un veicolo di distruzione piuttosto che di progresso».
Tra gli altri artisti esposti, troviamo le potenti teste archetipe e primitive di Laura Pesce, le opere di Emanuela Angelini, le illustrazioni di Elisa Rosati, la giovane mascotte dello studio.
Come si inserisce oggi l’arte nel contesto delle nuove tecnologie, in particolare con l’intelligenza artificiale?
«L’intelligenza artificiale rappresenta una grande opportunità, ma anche una minaccia significativa. In una mostra organizzata con Fabrizio, abbiamo utilizzato l’intelligenza artificiale per creare opere ispirate al suo stile. Come critico d’arte, l’ho trovata uno strumento molto affascinante e potente, capace di scavare in un archivio infinito e far emergere un mondo incredibile, con una proposta molteplice che sa coinvolgere e appagare. Se utilizzata in modo irresponsabile, tuttavia, l’intelligenza artificiale può essere un pericolo, perché delegittima l’osservazione, l’analisi, la riflessione e la scrittura, mette in discussione la capacità di pensare in modo autonomo, rischiando di trasformarsi in uno strumento di controllo che limita la libertà intellettuale. Questo concetto trova un potente simbolo nella serie dei Gorilla di Fabrizio, che ci invita a riflettere su chi sia davvero l’anello più evoluto della catena e a non perdere la nostra autonomia intellettuale di fronte a una tecnologia tanto affascinante quanto potenzialmente invasiva».
Che dire? È sempre un piacere scoprire i risvolti che abitano il rione Monti, così intriso di arte e umanità. Questa prima tappa alla Galleria Di Nardo è stata una immersione totale nel mondo dell’arte contemporanea. Ci ha insegnato a guardare oltre l’estetica e a cogliere le sfumature più profonde del pensiero creativo. Ci ha anche insegnato che i luoghi della Suburra Romana, con le sue abitazioni storiche di incredibile valore, si prestano magnificamente ad arricchire l’esperienza dell’arte, creando un ponte tra il passato e il presente. Grazie per questa chiacchierata coinvolgente. Grazie per esservi raccontati con tanta passione e generosità, per averci fatto entrare nel vostro mondo di idee, materia e visioni!
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